[Sfogo]
Se credessi, ora come ora, in un’entità superiore gli direi “Vabbè, ho capito, anche basta con la messa alla prova”.
La morte di Davide, la potenziale demenza di mia madre, le questioni familiari. Non è un po’ troppo?
Solo che in questo momento non credo in un’entità superiore, perché sarebbe troppo crudele: perché questa sistematica mancanza di appigli, questo togliere la terra sotto i miei piedi, non me la spiego.
(Non mi spiego neanche come io resista, stancamente, ma resista. Ma vabbè.)
Senza Davide non ho qualcuno con cui confrontarmi, confidarmi davvero sulle disfunzioni della mia famiglia. Senza la mia famiglia non ho qualcuno con cui confidarmi e trovare conforto per la morte di Davide. Una cosa rende l’altra peggiore, e viceversa.
La mia terapeuta dice che esistono stati depressivi che sono congiunturali e non clinici.
Lo vedo, lo capisco e so che è il mio caso. Perché in qualche modo funziono, vado avanti, zoppico ma cammino. Me lo riconosco da solo, e mi dico “Bravo!”.
Però che fatica.
E capisco anche chi di fronte alle prove della vita non ce la fa, cammina a malapena o si siede del tutto. E chi decide di smettere di camminare.
Vedi, l’empatia? Ma io non sono fatto così – ditelo a Studio Aperto, nel caso – e questo mi salva. Giorno dopo giorno mi salva.
Ma come sono fatto mi rende anche schiavo di me stesso, di questo essere un “bravo ragazzo”, del mio voler fare la cosa giusta, di una razionalità che non mi concede davvero la debolezza, il poter dire “Vabbè, ora mi siedo e per un po’ fate tutto voi, e non rompete il cazzo”.
